C’era un tempo in cui le estati venivano raccontate scorrendo diapositive consumate e vecchie polaroid dai colori sbiaditi, raggi di luce fioca e gran sorrisi in bikini vintage, un tempo che sembrava lontano ma che era solo l’effetto di qualche filtro particolarmente figo delle fotocamere da smartphone degli anni ‘10.
Ed è’ in questo tempo di un passato presente, in questo mood di nostalgia di cose non vissute che si sono fatte strada una moltitudine di band particolarmente “affollate”, che spesso si moltiplicavano durante le esibizioni dal vivo, in barba al set nudo e crudo Chitarra/basso/batteria dei compianti anni 90. Erano gruppi perlopiù statunitensi, ma con forte influsso europeo nella composizione dei pezzi spesso accompagnati da strumenti che si approcciavano, forse per la prima volta, al mondo pop-folk: sassofoni, xilofoni, trombe, oboe, fiati vari.
I Bon Iver sono stati a pieno titolo una di queste band: concerti animati da almeno 10 musicisti, due batterie, fiati, sintetizzatore e tutti o quasi tutti i componenti della band impegnati come coristi per riprodurre le tante sovrapposizioni di voce che contraddistinguono la band del Wisconsin. Si parla di gruppo ma di fatto i Bon Iver sono la voce, l’anima, il cuore, la poesia del suo unico fondatore Justin Vernon, un one man show che di band ne ha fondate parecchie. Il primo album “Emma for ever ago” compie, proprio in questi giorni, 15 anni e quale modo migliore per festeggiarlo, se non raccontarvi ancora una volta la storia che c’è dietro quei meravigliosi 9 pezzi?
Ma partiamo dall’origine del tutto: la cittadina di Eau Claire, nel Wisconsin, deriva dal francese, "Eaux Claires", che significa "acqua chiara", dal fiume Eau Claire che attraversa la città, il nome proviene da un’esclamazione dei primi esploratori francesi arrivati in città. Chissà se Justin Vernon ha pensato a questo quando ha scelto per la sua nuova band, un nome che deriva ancora dal francese “Bon hiver ("Buon inverno). Forse sì, o forse per quel saluto “Bon Iver!” utilizzato nella serie televisiva “northern exposure” che Vernon seguiva quando era ammalato di mononucleosi da bambino (come suggerisce wikipedia) o molto più semplicemente bastava guardarsi intorno per avere l’ispirazione: dicembre 2007, inverno pieno, freddo, alberi innevati tutti intorno, un capanno isolato in mezzo alla foresta ad un passo dal Canada. Justin è lì dentro, completamente isolato dal resto del mondo, deluso dallo scioglimento della sua band precedente e dalla fine di una relazione, scrive testi, abbozza melodie, inserisce un riff di chitarra e un passaggio col pianoforte e poi ancora altre melodie, una nuova parte strumentale, note di basso e partiture di sax, ha gli strumenti a disposizione, è in grado di suonarli tutti, così decide di mettere insieme i pezzi ed incidere.
L’inverno è finito e Justin Vernon, col primo sole primaverile, ha in mano 9 brani già registrati. For Emma For ever Ago sarà il titolo dell’album, che Justin pubblicherà perché convinto dai suoi amici, ma solo 500 copie, per vedere come va. E come è andata lo sappiamo: un incredibile successo di critica e di vendite, l’album è presente nelle classifiche di vendita di Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi, oltre che nella Top 20 di Belgio ed Irlanda. A questo album ne sono seguiti altri 3 e tante collaborazioni ma molti, me compresa, considerano la sua opera prima come il suo vero capolavoro, un disco puro, fuori dal tempo, da ascoltare e ri-ascoltare senza mai stancarsi, fonte di ispirazione di tantissimi altri artisti che si sono affacciati sulla scena indie folk di quegli anni.
Partite da “flume” e se avete un ukulele in casa, guardatevi i tutorial (ce ne sono a bizzeffe su youtube) strimpellate le prime 3 note e canticchiatela, è facile e non se ne andrà mai più dalla vostra testa, passate a Skinny love la più famosa, la più strutturata e coverizzata, quella con cui Justin chiude tutti i concerti. Gustatevi “creature fear” la ascolterete in loop quando scoprirete la meravigliosa versione dal vivo al Sydney opera House nel 2021, poi, quando siete abituati al suo sound e al suo falsetto, entrate nel fatato mondo di “the wolves” sarà quello il momento in cui vi renderete conto di essere follemente innamorati.